Spalla congelata: cosa significa e cosa fare
Cosa è la spalla congelata
La capsulite adesiva o spalla congelata (frozen shoulder) è una patologia che si stima colpisca circa il 5% della popolazione, prevalentemente donne tra i 30 e i 65 anni di età. Chi viene colpito da questa patologia fortemente invalidante, rischia la stessa sorte anche per l’altra spalla in una percentuale che si avvicina al 35% entro i successivi 5 anni dalla guarigione.
È raro il coinvolgimento simultaneo di entrambe le spalle o una recidiva sulla stessa spalla già interessata.
Questa patologia è caratterizzata da una infiammazione della capsula articolare della spalla nelle fasi iniziali, seguita da una fibrosi che oltre ad essere estremamente dolorosa, blocca completamente la mobilità della spalla, da qui il termine spalla congelata.
Perché viene la spalla congelata
Ancora oggi, la cause che danno origine a questa patologia sono in discussione ma esistono diversi fattori di rischio che sono associati a questa condizione.
I principali sono: l’età compresa tra i 40 e 65 anni, il sesso, l’immobilità prolungata della spalla dovuta a traumi, gli interventi chirurgici, il diabete, le malattie cardiovascolari, le problematiche della tiroide, il morbo di Parkinson, la malattia di Dupuytren.
Si distinguono sommariamente due tipi di spalla congelata: primaria e secondaria.
- Primaria (o idiopatica): rientrano in questa classificazione quelle capsuliti ad insorgenza spontanea in cui non si riesce ad identificare nessuna causa sottostante o condizione associata riconducibile ad un evento scatenante.
- Secondaria: sono i casi in cui può essere identificata una causa come ad esempio un trauma. Questa classificazione è stata ulteriormente suddivisa in altre tre sotto categorie:
- Intrinseca, causata da lesione della cuffia dei rotatori, calcificazione della spalla, ecc.
- Estrinseca, dovuta a condizioni che non coinvolgono direttamente la spalla come fratture della clavicola, fratture dell’omero, ecc.
- Sistemica, causata da diabete, ipertiroidismo, ipotiroidismo o altre condizioni metaboliche.
L’esordio di questa patologia è subdolo. Il paziente comincia ad avvertire un dolore diffuso e progressivo alla spalla da prima nei movimenti e successivamente anche nelle fasi di riposo, sopratutto nelle ore notturne. I farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) danno scarsi risultati e il dolore può diffondersi anche lungo tutto l’arto interessato.
Avviene una progressiva rigidità con perdita di mobilità sia attiva che passiva, tanto da influenzare e invalidare anche i più semplici gesti quotidiani e la qualità del sonno. Questa condizione spesso genera stati ansiogeni che non favoriscono un approccio psicologico positivo alla patologia.
Sono state identificate tre fasi che caratterizzano questa patologia:
- Fase di congelamento: ha una durata variabile tra i 2 e i 9 mesi in cui vi è una progressiva perdita di mobilità con un aumento costante di dolore, soprattutto di notte.
- Fase congelata di rigidità: ha una durata variabile tra i 4 e i 12 mesi. In questa fase le limitazioni di movimento sono superiori rispetto al dolore provato.
- Fase di scongelamento e risoluzione: ha una durata compresa tra i 5 mesi fino a 2 anni. In questa fase il dolore tende a diminuire in maniera proporzionale all’aumentare dei gradi di movimento. Lentamente il range articolare viene recuperato con relativa graduale scomparsa della rigidità, fino ad una spontanea risoluzione della patologia.
Chi cura la spalla congelata
È molto importante riconoscere prima possibile le cause che hanno scatenato i sintomi per ottenere una corretta diagnosi ed agire di conseguenza. Per questo motivo è opportuno rivolgersi ad un professionista specialista che, fatta una adeguata indagine clinica provvederà a prescrivere eventuali esami strumentali, quali: ecografia, radiografia, risonanza magnetica, TAC.
Gli esami di imaging sono importanti per evidenziare eventuali danni ai tessuti. Se così fosse, un trattamento conservativo potrebbe non essere sufficiente a migliorare la terapia e a prevenire possibili recidive.
Eventuali esami di laboratorio non contribuiscono direttamente alla eventuale diagnosi ma, vista l’alta correlazione con il diabete e le disfunzioni della tiroide, possono essere utili ad identificare la presenza di comorbidità.
Come si cura la spalla congelata
Non esiste un protocollo terapeutico specifico standardizzato ritenuto più efficace rispetto ad altri, tuttavia, una volta certi della diagnosi, è possibile lavorare in maniera efficace su più fronti.
Gli obiettivi da raggiungere sono:
- Riduzione del dolore;
- Miglioramento e ripristino del movimento, sia passivo che attivo;
- Ritorno alle normali funzioni presenti prima della patologia.
Nella prima fase si tenta un approccio non invasivo, solitamente per ridurre il dolore si utilizzano i FANS e qualora non risultassero efficaci, si passa ai corticosteroidei, una classe di antinfiammatori più potenti che spesso vengono infiltrati direttamente nell’articolazione della spalla.
È importante mantenere la mobilità articolare con mobilizzazioni passive, stretching articolare e esercizi che il paziente dovrà fare in autonomia nei limiti delle sue possibilità o con il supporto di uno specialista.
Fondamentale anche dare sostegno psicologico spiegando l’evoluzione della patologia e stimolare la partecipazione del paziente agli esercizi proposti.
Nel caso in cui l’approccio conservativo non abbia dato esiti soddisfacenti, si deve procedere con altre tipologie di trattamento un po’ più invasive.
La manipolazione sotto anestesia è una possibilità che però ha dato dubbi benefici, oppure si utilizza l’intervento chirurgico in artroscopia chiamato release capsulare, che consiste nel liberare la capsula dalle aderenze che si sono formate, così da recuperare il movimento articolare antecedente il problema.
Esercizi per la spalla congelata
Quando si è colpiti da questa patologia purtroppo si deve fare i conti con il dolore che accompagnerà il decorso della malattia per qualche tempo innescando un meccanismo perverso:
DOLORE ➡️ LIMITAZIONE DI MOVIMENTO ➡️ PERDITA DI FORZA ➡️ CAPSULITE ➡️ DOLORE
Gli esercizi vanno eseguiti lentamente con costanza e almeno un paio di volte al giorno, cercando di arrivare al limite articolare e se possibile cercare di guadagnare ancora un po’, rispettando naturalmente la soglia del dolore.
Non siamo ogni giorno nelle stesse condizioni, quindi risulta importante ascoltarsi per capire quanto saremo in grado di fare e soprattutto quanto il nostro corpo riuscirà a darci.
Mai esagerare: l’idea che più fa male, più fa bene è sbagliata!
Gli esercizi, che devono essere personalizzati, comprendono solitamente uno scarico articolare, lo stretching, le mobilizzazioni articolari e il rinforzo dei muscoli.
Alcuni esempi:
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Lavoro come osteopata nel mio studio a Milano in zona Amendola Fiera a pochi passi dalla metropolitana Linea Rossa (fermata MM Amendola Fiera) e da CityLife.