Aikido: Incoerenza tra pensiero e pratica

L’aikido è un contenitore non un contenuto.
Chi pratica da anni lo fa perché trova ciò che cerca o scopre quello che lo appaga, nonostante le costanti “frustrazioni“.
Ognuno di noi pratica l’aikido con motivazioni diverse tante quante sono i praticanti stessi.
C’è chi considera l’aikido un’arte marziale efficace che crea il massimo del danno col minimo dello sforzo, c’è chi crede che la capacità e la qualità del suo aikido siano il controllo totale della situazione e chi crede di poter essere in grado di gestire una situazione arrecando il minimo danno.

Indipendentemente dalle opinioni discutibili e non giudicabili resta il fatto che in questi anni mi sono scontrato con molteplici contraddizioni e incoerenze nell’ambito della pratica.

Mi chiedo: se considero l’aikido un’arte marziale dell’amore e della relazione, un’arte nella quale l’efficacia è prendere il controllo e quindi la capacità che ho di gestire una situazione o una persona, senza arrecare alcun danno ma rendendola inerme, perché mai devo dipendere da delle leve, dal fare del dolore, violentare l’altro? Dov’è la libertà di scelta?

Viceversa se considero l’aikido una nobile arte marziale estremamente efficace, che mi consente di neutralizzare in maniera elegante un nemico attraverso le leve e i punti di dolore, perché studio le possibilità di non creare danni? Perché non studio gli atemi?
Perché chiamiamo compagno uno che vogliamo neutralizzare?

Libro Sergio Cavagliano

Parliamo tanto di relazione con il compagno, lo chiamiamo aite, nemmeno uke, per sottolineare la sua importanza, consideriamo sempre i grandi aspetti etici di rispetto nei confronti dell’altro, e poi non perdiamo occasione di cedere al cattivo che è in noi, a quello che vuole prevalere su una situazione, cercando in tutti i modi di prevaricare l’altro affinché lui soccomba.

Avremmo un sacco di buone occasioni per imparare ad accettare l’eventuale fallimento e invece cambiamo pur di raggiungere l’obiettivo di far cadere l’altro.

  • Perché non rinunciamo? 
  • L’aikido è un linguaggio non verbale, si dialoga molto con il corpo, ma si tratta di un confronto o di uno scontro? 
  • Perché voglio sempre avere ragione?
  • Perché non faccio esprimere l’altro quando abbiamo deciso insieme che io dovrò sostenere una parte del discorso e lui l’altra?

Spazio, distanza, tempo, postura, sono tutte variabili che regolano una “forma di educazione”, educano alla sensibilità e al rispetto di sé e degli altri.

Si dice che domandare è lecito e rispondere è cortesia, ma non si dice quando rispondere. 

  • Se stiamo studiando dei principi attraverso dei movimenti, perché li accantoniamo solo per cercare di neutralizzare il nostro compagno?
  • Dov’è la coerenza nel nostro modo di pensare?
  • Cerchiamo di personalizzare il nostro aikido cercando di apprendere i principi che regolano i suoi movimenti e le sue forme su di noi, ma perché poi tentiamo in tutti i modi di scimmiottare gli altri o di copiare il nostro maestro?

Abbiamo il desiderio di controllare l’altro, ma forse non sappiamo controllare noi stessi. Le nostre fisicità, le nostre possibilità motorie sono diverse, le conosciamo?

Sappiamo gestirci, muoverci, respirare? Parliamo di Ki, di soffio vitale, di respiro.

  • Ma chi respira consapevolmente durante la pratica?
  • E se si respira perché allora abbiamo il fiatone anche solo dopo qualche secondo di lavoro intenso? 
  • Perché si da tanta importanza, ma solo all’inizio della pratica, alla respirazione per poi non farci più attenzione?

Ci riempiamo la testa e la bocca di nozioni e principi e poi da anni ci scontriamo con una fisicità discutibile.
Premessa la sensibilità soggettiva che spiega livelli di rigidità diversi, resta il fatto che dovremmo avere intenzioni comuni!
Spesso si è fraintesi o forse i messaggi che sono stati dati non sono stati trasmessi in maniera corretta; esercitarsi con il compagno significa lavorare per il compagno non contro il compagno, in questo modo si lavora per noi stessi.

La domanda che sento porre da anni è la seguente: quale deve essere il comportamento corretto di uke?
Deve regalare, deve contrastare, deve essere duro o morbido?
Per quanto riguarda il comportamento di uke io credo debba essere quello di una persona che cerca di migliorare il compagno cioè torì e se stesso.
Ma cosa intendo per migliorare? Significa concedere solo quando si sente che il compagno sta lavorando bene.

Chiunque di noi, soprattutto i gradi alti, sa benissimo che, se si vuole l’altro difficilmente riesce a fare qualche cosa, ma non tanto perché si è più bravi ma perché si impedisce di fare.
Questo semmai è il problema: fino a che punto possiamo stimolare l’altro? 
Tutti noi teoricamente conosciamo quali sono le regole del nostro aikido e dell’aikido in generale.
Quindi abbiamo ben chiaro cosa un compagno può fare e deve fare per svolgere un movimento una tecnica e cosa dobbiamo, possiamo o vogliamo fare noi.

Spesso la prima incoerenza sta dentro di noi. 
Nemmeno ci rendiamo conto di quello che facciamo. 

  • Cosa stiamo comunicando?
  • Cosa vogliamo comunicare? 
  • Quanto gli atteggiamenti influenzano il lavoro?

Sappiamo tutti che l’efficacia dell’aikido è il risultato di un movimento del corpo.
Chiediamoci quante volte muoviamo tutto il nostro corpo come vorremmo.

Spesso tutto si riduce solo a parole e il risultato finale è una semplice dolorosa leva, oppure si finge cadendo prima, inutilmente, tanto per fare del movimento. (il che non è sbagliato a prescindere, basta sapere cosa si vuole fare).
Peggio ancora quando si cade prima di ricevere una leva per evitare il dolore, il che è tutto dire, alla faccia del piacere della pratica e della fiducia che si ripone nell’altro.

Ci sono un sacco di altre discipline da combattimento decisamente più efficaci dell’aikido, la semplice box mette in seria difficoltà molti praticanti di arti marziali; un pugno sul naso fa male sapete? Quanti sono disposti a prenderlo per capire?
Quindi praticare aikido per vantare competenze sul combattimento fine a sé stesso lo trovo piuttosto imbarazzante.
Sicuramente ci si gonfia l’ego ma sempre e solo in casa propria.

Credo quindi che sarebbe meglio accettare l’empirismo di questa nobile arte che però contiene principi funzionali sacrosanti applicabili in ogni tempo, luogo e con chiunque; questi principi giustificano l’apprendimento di una vita senza cadere nell’illusione di onnipotenza o sconfinare in territori nei quali non è così facile distinguersi.

L’aikido è un’Arte dell’amore e della pace, non un’arte di combattimento! E’ un metodo per accrescere sé stessi secondo alti principi morali quali il rispetto, la stima, l’umiltà e la comunione.

Purtroppo le logiche egocentriche e politiche hanno allontanato quest’arte dal sentiero originario tracciato dal Fondatore, costruendo un castello di ipocrisie e incoerenze che ancora oggi la sporcano.
Spero che nel tempo ognuno di noi riscopra il solo piacere della pratica e della crescita disinteressata.
Solo questo dovrebbe bastare.

Buona pratica sana 🙏🏻

Leggi gli altri approfondimenti che trovi nella pagina Aikido.

One Response to Aikido: Incoerenza tra pensiero e pratica

  1. Anonimo

    letto..e come al solito ho trovato interessante tutto quello che hai scritto,e con la mente sono ,sono tornato ai tempi in cui ci siamo conosciuti,o meglio io ho conosciuto te e l'aikido che tu insegni..un aikido che và oltre i semplici o complicatisimi movimenti, ricordo,benissimo la prima lezione ( a cui ho partecipato io ,tenutasi a cardano)rimasi come folgorato dall'eleganza dei movimenti ,ma non furono solo questi a farmi amare l'aikido furono le tue parole,le tue letture,fatte senza presunzione alcuna e soprattutto la tua semplicità .Ora sono passati alcuni anni,e io non pratico più l'aikido (non che fossi un maestro anzi poco meno di un principiante) ci sono giorni in cui ne sento un bisogno incredibile,ho provato altri maestri ma nessuno mi ha dato quelle sensazioni che ho provato con i tuoi insegnamenti.un esempio una qualsiasi leva fata da altri era si dolorosa ma fine a se stessa nel senso che più che male non faceva,mentre mi ricordo le tue prese il dolore andava oltre ,non era solo semplice dolore ma ti sentivi come avvolto da una forza che ti avvolgeva tutto il corpo dalla testa ai piedi,ma allo stesso tempo sentivo anche che era un dolore benefico,infatti appena mollavi la presa il dolore si trasformava in beneficio per ossa tendini e articolazioni.bene ora vado a lavorare,mi scuso per eventuali errori ma sono di fretta auguro a tutti coloro che già ti conoscono un buon allenamento e a tutti quelli che vorrebbero cominciare l'aikido di muoversi siete in ottime mani in giro non ci sono persone come lui. FILIPPO

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