LEVA-mi le mani di dosso se non sai quello che fai!

Ritengo che sia piuttosto importante una buona conoscenza anatomica e fisiologica dello “strumento” che utilizziamo: il nostro corpo.
Bisogna sapere cosa accade dentro di noi quando ci muoviamo o quando facciamo muovere gli altri quando ci relazioniamo con essi; quali sono i gradi di libertà di una articolazione e le possibilità di lavoro dei muscoli che la muovono.
Soprattutto quali sono i rischi a cui andiamo incontro nel caso in cui non si rispettino i parametri fisiologici personali del momento.
In sostanza, quali sono i costi e quali i benefici di un gesto.

Per fare considerazioni di questo tipo non serve una laurea in medicina ma solo un po’ di buon senso e buona volontà.
Solo così si potrà dimostrare un forma di rispetto, per tutti.
È un buon modo per gli allievi continuare la pratica migliorando la propria salute e quella altrui e per i titolari di corsi, continuare ad avere corsi 😉

Per cominciare, mi permetto di evidenziare che se pur fondamentale considerare le leve subite dai compagni di pratica non dobbiamo trascurare le leve che ci infliggiamo da soli; alzi la mano chi ha avuto o ha potuto vedere altre persone, che già nella posizione in ginocchio (seiza) hanno avuto grosse difficoltà.
La leva risulta evidente nel momento in cui si stressa l’articolazione stessa, pertanto è fondamentale considerare la mobilità articolare di ognuno.

Molte persone, soprattutto agli inizi della pratica, manifestano questo disagio, con dolori e fastidi alle ginocchia, alle caviglie o alle dita dei piedi, già da quando si mettono in ginocchio per il saluto o per lavorare in suwari waza; ma a nessuno è stato insegnato come comportarsi di fronte ad una persona che manifesta grosse difficoltà fisiche nel seguire una ‘etichetta’ di comportamento sul tatami.

Cavolo!

  • Ma c’è bisogno di essere “formati” come aikidoca per gestire queste situazioni o forse basterebbe del sano buon senso-do?
  • È più importante rispettare un’etichetta di comportamento di chi l’ha inventata o le possibilità fisiche e mentali di chi la pratica

Questo non significa non ambire nel tempo ad una posizione “formalmente corretta” per la pratica dell’Aikido, posizione corretta che dovrebbe essere ricercata con attenzione anche nel vivere quotidiano, ma di sicuro forzare non aiuta e risulta una violenza inutile e spesso dannosa.

Che senso ha restare in ginocchio per troppi minuti con il risultato finale di faticare a rialzarsi per praticare?

Libro Sergio Cavagliano

È più efficace un samurai meno formale ma vivo che uno ligio all’etichetta ma morto.
Sicuramente l’ideale sarebbe vivo ed “etichettato” ma per ambire a questa condizione bisognerebbe prima sentire le proprie possibilità e rispettare i tempi piuttosto che i formalismi.

Sarebbe davvero utile che un Istruttore, Insegnante o Maestro, siano in grado di aiutare chi è in difficoltà nello stare o muoversi in ginocchio (senza – shikko), suggerendo esercizi per migliorare le articolazioni delle caviglie, le dita dei piedi, molto sollecitate in queste posizioni poco naturali o i movimenti del bacino, spesso bloccato.

Anche in movimenti base come il Tenkan o Irimi Tenkan si sviluppano leve dannose a caviglie e ginocchia se non si eseguono correttamente.
Questi movimenti tanto utili possono nel tempo dimostrarsi nemici infidi e dannosi per la nostra salute.
Devono pertanto essere trasmessi con criterio consapevole e compresi al meglio per le proprie potenzialità.
Per non parlare dell’asse, della nostra bella colonna vertebrale che è un insieme di articolazioni e che è costantemente impegnata nel movimento.
Quante leve deve gestire contemporaneamente? Altro che Nikyo 🙂

Quindi risulta fondamentale capire almeno i meccanismi di base che si innescano nel momento in cui si fa o si riceve una leva.
Quando una articolazione viene sollecitata con una leva, si origina un meccanismo definibile come “continuità articolare” ossia dove finisce la possibilità compensatoria di movimento di una articolazione comincia la compensazione dell’articolazione contigua.
Questo è il principio bio-meccanico su cui si basa l’aikido, attraverso il quale dopo tre articolazioni si arriva alla colonna vertebrale, al centro di comando, e si compromette l’equilibrio del compagno.

Risulta implicito che questo meccanismo compensatorio delle articolazioni è assolutamente soggettivo, quindi un soggetto particolarmente rigido subirà più facilmente una leva rispetto ad uno altrettanto sciolto o “lasso” a livello muscolare o articolare.
Motivo per cui fare aikido seguendo solamente un iter meccanico risulta paradossalmente più difficile con ragazze e bambini.

Per quanto mi riguarda, il lavoro attraverso le leve deve essere assolutamente costruttivo e non distruttivo; quando lavorerò con una persona molto rigida, cercherò di aiutarla a comprendere attraverso esercizi mirati, le sue rigidità in primis e come poterle migliorare in seguito.
Al contrario una persona lassa o particolarmente vulnerabile a livello articolare, la inviterò a migliorare la condizione rinforzando le diverse strutture interessate.
Il tutto però, per entrambe le situazioni, attraverso lo studio delle leve, non con metodi diversi.

Ebbene sì, non sto mettendo in discussione le leve per quello che sono, ma per come vengono vissute ed utilizzate, quindi in discussione c’è una forma di pensiero, spesso errata, che si manifesta in sofferenze fisiche e danni funzionali.
Ad una articolazione fragile chiederò di resistere, nei limiti ovviamente, mentre ad una rigida aspetterò che si lasci andare.
Quando si controlla una persona a terra con quella che viene definita una “immobilizzazione” si ha la possibilità di sentire e di comunicare attraverso la presa, le articolazioni, le tensioni, le possibilità di compensazione e quindi di movimento.

È grazie a questa bellissima opportunità che si impara a verificare le possibilità motorie dell’altro/a, migliorarle o inibirle, senza dolori gratuiti, rendendo di fatto utile una situazione apparentemente e possibilmente dannosa.
E’ così che possiamo addirittura decidere di inibire totalmente i movimenti del compagno, senza creare alcun danno, rispettando i principi di amore, di unione e di armonia della pratica stessa.

Che senso ha in una immobilizzazione forzare una leva per costringere il compagno teoricamente ormai inerme, alla resa?

Creare dolore a chi è già in una situazione difficoltosa evidenzia solo due cose:

  • la prima che probabilmente il controllo non era ottimale e quindi si è stati obbligati alla leva dolorosa nel tentativo di contenere i possibili movimenti dell’altro.
  • La seconda è che scioccamente non si è capito che un dolore provocato spesso stimola a muoversi e a trovare vie d’uscita piuttosto che essere passivamente accettato; non inibisce ma stimola.

In ultima analisi invito a riflettere che quando si pratica aikido si stanno considerando anche le energie e i loro movimenti.
Se avete un minimo di nozionistica in merito sapete che il Ki si muove all’interno del nostro corpo attraverso i Meridiani utilizzati in agopuntura e alla base della Medicina Tradizionale Cinese.
Attraverso le leve si vanno a stimolare punti importanti dell’agopuntura situati sulle articolazioni ed in prossimità delle stesse, influenzando in maniera importante lo scorrere del KI.

Inutile schiacciarsi l’addome in varie zone, o picchiettarsi qua e la il corpo o le piante dei piedi agli inizi di molte lezioni, se non si conoscono almeno le basi ed i motivi che ci fanno eseguire questi gesti.
Non basta copiare il Maestro di turno che fa queste cose, ripetendo magari per anni gesti che seppur ricchi di significato risultano totalmente privi di utilità per l’ignoranza comune.
Meglio restare umili praticanti consapevoli che forbiti samurai zuppi di un sapere spesso solo accademico e tradizionale ma povero di contenuti.

Proviamo a rendere utili le leve: IkkyoNikyoSankyoShihonageKotegaeshi, possono tutte diventare ‘medicine’ per le nostre articolazioni e per il nostro benessere in generale.

Provateci e se avete piacere, fatemi sapere come va, grazie.

Buona pratica sana 🙏🏻

Leggi gli altri approfondimenti che trovi nella pagina Aikido.

3 Responses to LEVA-mi le mani di dosso se non sai quello che fai!

  1. Anonimo

    buon senso-do, mi piace molto come strada da perseguire anche nella vita di tutti i giorni:)condivido che l'etichetta non abbia senso quando diventa una condizione forzata che crea disagio o dolore. Ho praticato yoga per anni e ho imparato che per raggiungere la perfezione di un'asana occorre tempo…inutile arrivarci di corsa con una forma bella all'esterno ma completamente vuota e poco sentita..bello quando scatta la molla e ci si arriva e si "vive":) credo che per l'aikido sia la stesso…se sono seduta in seiza e sono comoda e ho anche una bella forma …bene…altrimenti perchè? Per quanto riguarda le leve, al mio livello (bassisssssimooo) posso dire di cercare di sentire il limite del mio compagno e di essere molto soddisfatta quando riesco a percepirlo e sentirmi in sintonia.
    Leggo sempre con grande piacere i tuoi post sull'Aikido, ti ringrazio per la semplicità e l'ironia con cui scrivi, e per rendere i tuoi post utili sia per chi come me è all'inizio di un cammino che per chi come alcuni dei miei compagni vive l'Aikido da anni.
    Buona pratica anche a te Sensei:) sabri

  2. Luigi

    Come al solito le considerazioni esposte nei post sono estremamente interessanti, stimolanti e, nella loro apparente semplicità, disarmanti. Ho praticato karate per circa 10 anni, sostenendo, con non poca tensione ed ansia, tutti i vari "esami" fino a raggiungere -con una certa soddisfazione- il "massimo(?!)" grado e quindi poter essere ammesso alle lezioni tenute dal Maestro. Nessuno dei vari istruttori,tuttavia, è stato in grado di coinvolgermi in maniera così propositiva e cosciente in relazione alle capacità e sensazioni del mio corpo. Le lezioni, per come le vivevo, venivano ridotte unicamente alla esposizione e ripetizione delle varie tecniche e kata in previsione del superamento degli esami di passaggio di grado/cintura ed alla ambizione di dimostrare la propria superiorità rispetto al compagno. Ritengo che quanto Sergio espone sia fondamentale per poter assaporare e gustare gesti che altrimenti si ridurrebbero a mere tecniche di imitazione.

  3. Anna P.

    Ho praticato per anni karate e mi è stato insegnato che le tecniche di Kansetzu wasa (chiavi articolari) sono forme superiori di autodifesa che hanno lo scopo di dissuadere l'attaccante dal continuare la sua azione, senza provocare un danno permanente, a meno che la situazione lo richieda. "L'arte marziale superiore è quella che permette di combattere senza combattere". Funakoshi diceva che "riportare cento vittorie in 100 battaglie non è il massimo risultato ottenibile; lo è vincere il nemico senza combattere". Certamente è più facile colpire il nostro avversario con un pugno sul naso e provocargli un trauma serio, piuttosto che "convincerlo" a desistere applicando una tecnica articolare. Tale tecnica richiede, a mio modesto parere, non tanto una buona prestanza fisica, ma un'attenzione al dettaglio. E' molto difficile per un praticante inesperto "sentire" se l'azione esercitata sulle articolazioni è corretta o meno e, trascurare anche il più piccolo dettaglio, rende la tecnica completamente inefficace, consentendo all'avversario o di continuare l'attacco o di liberarsi dalla presa.
    Anna P.

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